Fra i sistemi di intelligenza artificiale più sorprendenti, e quindi anche più celebri, ci sono sicuramente i modelli linguistici: tutti abbiamo almeno una volta dialogato con ChatGPT o con altri, non meno interessanti, sistemi che espongono chatbot basati su architetture transformer, gli ormai ben noti LLM.
Questi sistemi di imitazione del linguaggio ci colpiscono e inquietano in quanto il linguaggio, secondo un pregiudizio filosofico duro a morire, è considerato una prerogativa degli esseri umani. Per esempio, Cartesio stabilì come criterio distintivo fra uomini e animali proprio il linguaggio, cioè la possibilità di riuscire a interloquire, sia capendo quel che ci si comunica che riuscendo a comporre frasi che gli altri capiscano.
La teoria di Turing sull’imitazione del linguaggio
Non è un caso che il più celebre test di intelligenza delle macchine, il test di Turing, riguardi la comprensione, l’imitazione del linguaggio e la sua generazione: sebbene sia arcinoto, vale la pena ricordare di cosa si tratti seguendo gli scritti nei quali Alan Turing lo ha introdotto, nel 1950.
Per apprezzare la visionarietà di Turing basterà ricordare che nel 1948, quando lui scriveva il suo primo articolo sull’intelligenza delle macchine, esistevano sostanzialmente due computer programmabili al mondo: l’ENIAC negli USA e il “Manchester Baby” in UK, nel cui progetto era stato coinvolto lo stesso Turing.
Queste macchine potevano memorizzare qualche centinaio di numeri, erano milioni di volte più lente delle attuali e occupavano intere stanze. Come si poteva pensare che potessero essere programmate per competere con l’intelligenza umana?
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Nel suo articolo “Intelligent machinery” del 1948, Turing spiega perché fosse convinto che ciò sia possibile:
Una ragione per credere nella possibilità di costruire macchine pensanti è il fatto che è possibile costruire macchine che imitino ogni piccola parte dell’essere umano. Che il microfono faccia questo per l’orecchio e la televisione e la telecamera per l’occhio, è assodato. Si possono anche produrre robot controllati da remoto le cui membra bilanciano il corpo per mezzo di servo-meccanismi.
Quindi, se è possibile imitare elettromeccanicamente gli organi di senso e locomozione, perché non il cervello? È a questo organo che Turing limita fin da subito la sua riflessione:
Un modo per impostare il nostro compito di costruire una macchina pensante sarebbe quello di prendere un uomo intero e provare a sostituire tutte le sue parti con dispositivi elettronici. Lui includerebbe telecamere, microfoni, altoparlanti, ruote e servo-meccanismi del tipo di un cervello elettronico. Ciò richiederebbe naturalmente uno sforzo enorme. […] Inoltre […] la creatura non potrebbe avere contatto col cibo, col sesso, lo sport e molte altre cose di interesse per gli esseri umani. […] Invece io propongo di provare a vedere cosa possa essere fatto con un cervello che sia più o meno senza corpo, provvisto al più di organi di vista, parola e udito.
In quello stesso lavoro del 1948, annus mirabilis dell’Informatica in quanto viene anche pubblicata la teoria dell’informazione di Claude Shannon e il celebre e influente libro Cibernetica di Norbert Wiener, Turing enumera quelli che secondo lui potrebbero essere campi di applicazione per le macchine intelligenti, in una lista che rende conto delle sue capacità profetiche:
- Giochi vari, come scacchi, tris, bridge, poker.
- L’apprendimento del linguaggio.
- La traduzione del linguaggio.
- La crittografia.
- La matematica.
Turing torna sull’argomento con idee ancora più precise in alcuni suoi articoli del 1950 e 1951: in seguito, nei pochi anni rimasti della sua troppo breve vita, si occuperà d’altro, in particolare di modelli matematici della biologia.
È nel suo “Computing machinery and intelligence” (1950) che propone il celebre test per fornire una risposta operativa alla domanda assai vaga “può una macchina pensare?”. Per cominciare, Turing descrive il “gioco dell’imitazione”, volto a determinare il sesso di uno dei giocatori; nelle sue parole:
Si gioca con tre persone, un uomo A, una donna B e un inquirente C che può essere di entrambi i sessi. L’inquirente sta in una stanza separata dagli altri due. L’obiettivo del gioco per l’inquirente è di determinare quale degli altri due sia l’uomo e quale la donna. Li conosce solo con le sigle X e Y e alla fine del gioco deve dire “X è A e Y è B” oppure “X è B e Y è A”. L’inquirente può porre domande […] l’obiettivo di A è di provare a far giungere C alla conclusione sbagliata. […] Affinché il timbro di voce non possa aiutare l’inquirente, le risposte devono essere scritte. L’ideale sarebbe avere una telescrivente che comunichi fra le due stanze. Alternativamente, le risposte potrebbero essere riportate da un intermediario. L’obiettivo del gioco per il terzo giocatore B è di aiutare l’inquirente.
Dunque il giocatore A, l’uomo, vince se fa credere a C d’essere invece la donna, mentre B e C vincono se C riesce a smascherare A. La presenza di B fornisce un aiuto a C, ovviamente.
Ora, alla domanda “può un computer pensare?” Turing sostituisce quindi “può un computer vincere il gioco dell’imitazione?”: cioè, facciamo giocare il gioco dell’imitazione a un inquirente umano C contro un computer A e un essere umano B; se A riesce a ingannare C facendogli credere che lui è l’umano e B il computer allora ha vinto, ha passato il test di Turing sull’imitazione del linguaggio.
Naturalmente, sebbene il test di Turing offra un criterio operativo per misurare l’intelligenza di una macchina, ignora moltissimi attributi impliciti nella parola “intelligenza”. Per esempio, nessuno dubita che uno scimpanzé o un delfino siano intelligenti ma non supererebbero il test di Turing, anzi non potrebbero proprio sostenerlo!
Nell’identificare il linguaggio col pensiero e il pensiero con l’intelligenza perdiamo gran parte dell’essenza di quest’ultima. Turing ne è consapevole quando afferma che non è sensato tentare di replicare un intero essere umano ma di limitarsi al suo cervello, alla sua parte razionale potremmo ulteriormente precisare.
Fatta salva questa osservazione, come facciamo a costruire una macchina pensante? Di nuovo il grande matematico ci viene in aiuto con un suggerimento messo in atto dal moderno machine learning. Riportiamo le sue parole, sempre dall’articolo del 1950:
Invece che scrivere un programma per computer per simulare una mente adulta, perché piuttosto non provare a produrne uno che simuli la mente di un bambino? Se questo fosse soggetto a un’appropriata educazione si otterrebbe la mente di un adulto.
Non solo Turing propone di costruire una macchina capace di apprendere ma che all’inizio non sa nulla, ma suggerisce anche un modo per farla apprendere, l’idea embrionale del reinforcement learning:
Normalmente associamo il processo di insegnamento a premi e punizioni. Semplici macchine-bambino potrebbero essere costruite in modo che gli eventi che precedono una punizione tendano a non essere ripetuti, mentre un segnale di premio aumenterebbe la probabilità di ripetizione degli eventi che vi hanno portato. […] L’uso di premi e punizioni è nel migliore dei casi solo una parte del processo di apprendimento. […] È quindi necessario avere altri canali “non emozionali” di comunicazione. Se questi fossero disponibili, sarebbe possibile insegnare a una macchina con premi e punizioni a obbedire a ordini espressi in un linguaggio simbolico. Questi ordini sarebbero trasmessi lungo i canali “non emozionali”. L’uso di questo linguaggio diminuirebbe enormemente il numero di premi e punizioni richiesti.
I pochi ma incredibilmente incisivi interventi di Turing sul tema del pensiero nelle macchine hanno, come si vede, non solo dato autorevolezza a questa possibilità, ma anche tracciato delle linee lungo le quali procedere per raggiungere questi obiettivi. Linee che purtroppo sono state a lungo ignorate, come vedremo in un prossimo articolo, se questo non vi è dispiaciuto.