Non molto tempo fa mi sono occupato di certificazioni riguardando un pò di programmi dei maggiori player per compararli un pò e cercare di studiarli più in profondità. Mettendo vicine le immagini di alcuni “path to glory” mi è tornato in mente una cosa che sapevo già ma che, a volte, dimentico come se fossi un utonto qualunque: i badge delle certificazioni sono molto belli e colorati ma, oltre a precise disposizioni dell’ufficio marketing, applicano i principi della gamification.
La gamification è l’applicazione di elementi tipici del gioco (game design) e di meccaniche di gioco in contesti non ludici, come il lavoro, la formazione(education), il marketing, la salute e altri ambiti insondabili.
L’obiettivo è rendere le attività più coinvolgenti, motivanti e gratificanti, migliorando così la partecipazione, l’apprendimento e il comportamento degli utenti/giocatori.
In pratica si eleva alla massima potenza il detto: “se ami quello che fai non lavorerai nemmeno un giorno”, massima è attribuita a Confucio, che è storicamente il primo filosofo che si occupa di lavoro.
Oggi sappiamo che i filosofi che parlano di lavoro sono pericolosissimi perché potrebbero generare secoli di conflitti specialmente se inventano parole come ‘capitalismo’ o ‘proletario’.
Il termine “gamification’ con l’accezione attuale ha, invece, molti padri che preferisco non citare poichè le sue origini farebbero ancora più casino nella comprensione delle pratiche ad esso associate. Pratiche in cui si possono riconoscere alcuni elementi comuni:
1. Punti: Gli utenti accumulano punti per completare determinate attività o raggiungere obiettivi specifici.
2. Badge: Simboli o emblemi che gli utenti guadagnano per riconoscere il raggiungimento di traguardi o competenze specifiche. (avete preso quelli di Codemotion? mi raccomando…)
3. Classifiche/Leaderboards: Tabelle che mostrano le posizioni relative degli utenti in base ai loro punteggi o risultati, incentivando la competizione.
4. Livelli: Progressione attraverso vari stadi o livelli di difficoltà, sbloccando nuove sfide e contenuti man mano che si avanza.
5. Sfide e Missioni: Attività specifiche o obiettivi da raggiungere che richiedono abilità o sforzi particolari.
6. Feedback Immediato: Risposte rapide sulle prestazioni degli utenti, come messaggi di congratulazioni o suggerimenti di miglioramento.
7. Storytelling: Creazione di una narrazione coinvolgente che lega le attività e gli obiettivi in un contesto più ampio.
Come esperienza personale i primi tre sono gli strumenti più usati, gli altri, specialmente in Italia hanno meno successo.
Warriors ‘Come out to play……’
Il campo è sperimentale quindi qualcuno lo utilizza per insegnare al marito a stirare o per qualche altra attività pericolosa, non provateci a casa. Grossomodo lo abbiamo spesso visto introdotto in contesti quali:
1. Apprendimento: Le piattaforme di apprendimento che utilizzano quiz interattivi, badge e classifiche per motivare gli studenti a completare i corsi e migliorare le loro competenze sono ormai la norma. A parte le certificazioni, che mi hanno risvegliato dal sogno, il caso a noi più vicino è la prassi di regalare gadget a chi risponde in maniera corretta a più domande sul software presentato. Ma con i programmatori è facile, basta mettergli un qr code davanti e competono su qualsiasi cosa, ho visto gente contestare delle risposte per accaparrarsi la maglietta di uno sponsor.
2. Lavoro e formazione aziendale: Non sono una novità i programmi di formazione aziendale che incorporano giochi di simulazione per insegnare competenze specifiche o migliorare la collaborazione tra i dipendenti. Credo che la gamification vera è propria sia stata adottata dopo una serie imbarazzante di teste rotte. Nei primi anni 2000 il classico esercizio era abbandonarsi ad occhi chiusi per farsi “salvare” dai colleghi disposti su due file, ma da quando i cellulari prendono così tanto la nostra attenzione, molte delle braccia di cui avremmo dovuto fidarci sono intente a ripostare gattini sui social, il dramma è sempre dietro l’angolo e nessuno si fida più, a ragione direi.
3. Marketing e vendite: Campagne promozionali che offrono premi, sconti e badge ai clienti per la partecipazione ad attività di marketing, come recensioni di prodotti o condivisioni sui social media. Be’ la raccolta punti in questi ambiti è mesozoico, kudos. Mia nonna partecipava alla gamification ma non lo sapeva.
4. Salute e benessere: App di fitness che tracciano l’attività fisica e offrono punti e badge per il raggiungimento di obiettivi di salute, come il numero di passi giornalieri. Vanno benissimo se siete sotto i 50 anni e il vostro cardiologo è al corrente, altrimenti quello di cercare badge che certifichino il proprio stato di forma potrebbe essere un’arma a doppio taglio.
5. Sviluppo personale: App di produttività che aiutano gli utenti a impostare e raggiungere obiettivi personali, come completare attività quotidiane o sviluppare nuove abitudini. Il mio preferito è leggere 20 pagine di un libro al giorno, una volta ottenuto il badge “libro finito” posso comprarne uno nuovo 🙂.
Si ma perchè: benefici della gamification
In primis il maggior coinvolgimento: aumentare la motivazione e l’interesse degli utenti attraverso elementi di gioco. A Roma si dice “ingarellarsi”: se avete mai partecipato a uno speed hackathon o siete così anziani da averne fatto uno in presenza, sapete che, per un rarissimo set di lego mindstorm, la gente poteva tranquillamente fabbricare un drone con arduino e sterminare l’intera platea, tanto che, uno dei tutorial più comuni su arduino, è quello in cui si fabbrica un metal detector, prevenire è meglio che curare.
La possibilità di avere un feedback immediato, in questo caso i concorrenti eliminati, avendo riscontri rapidi e continui sulle prestazioni, aiutando gli utenti a migliorare e perfezionare i propri artefatti.
In teoria alla base dovrebbe esserci una competizione sana, io ho sempre visto persone che provano comunque a barare mentre altre a testa bassa giocano secondo le regole con un grosso peso sul cuore. Spesso si viene espulsi o si esce comunque migliori, tanto che alla fine un output è quasi sempre l’esperienza gratificante che rende le attività quotidiane meno pesanti/più divertenti.
Per sintetizzare, mi si scusi il doppio gioco di parole, gli elementi di gioco presenti nelle app non di gioco, rilasciano dopamina nel cervello degli utenti.
Di conseguenza, desiderano interagire più a lungo con l’app gamificata per ottenere più risultati e godersi la sensazione di realizzazione.
Della nascita della gamification abbiamo già detto che preferiamo non infilarci in un ‘cul de sac’, vediamo invece quando sale alla ribalta. Nel 2011 Gartner Hype Cycle ‘scopre’ la Gamification, e la promuove tra le tecnologie più innovative collocandola tra html5 e i Big Data.
Chiaramente ci sono tuffati quasi tutti con risultati però molto altanelanti.
Ci sono stati casi clamorosi come quello della Nike (con Nike Run Club e le sue evoluzioni) e altri casi di successo, ma un pò alla volta la festa ha cominciato a perdere partecipanti , anche la Gartner ha disposto la ‘damnatio memoriae’ e sui loro report non compare più niente a riguardo .
In realtà molta colpa è stata data proprio all’eccesso di attenzione che ha portato ad una serie di progetti fatti male, un’ecatombe di pitch finiti nel dimenticatoio che ha trascinato con sé molte delle buone intenzioni di cui si era armato.
Fatto sta che l’entusiasmo per la gamification ha subito un duro colpo, c’è chi si subito fatto carico delle scomode verità e ha iniziato a stracciarsi le vesti intonando il “de profundis”, molti guru che hanno cavalcato l’onda sono silenziosi da un pò ed è lecito chiedersi se stiano pulendo le tavole o siano impegnati in altri sport estivi.
In realtà ci sono anche aspetti “oscuri” della gamification che ne hanno frenato la corsa:
Incentivi “sbagliati”
Un ‘side-effect’ che può essere evitato solo con un’attenta ricerca ma non sempre ci si riesce appieno. Immaginate un app dove la gente deve migliorare il proprio stile di guida ma finisce col trovare più divertente ficcare sotto le vecchiette (se state pensando a Carmageddon siete sulla pista sbagliata, invece GTA nasce come un gioco in cui bisognava impersonare un poliziotto, sappiamo tutti com’è finita…).
L’effetto cobra
L’effetto cobra nella gamification è un fenomeno in cui gli incentivi progettati per promuovere determinati comportamenti finiscono per incoraggiarne altri, spesso indesiderati o controproducenti. Il nome deriva da un fatto realmente avvenuto riguardante il governo coloniale britannico in India. Per ridurre il numero di cobra, una vera piaga nell’India dell’epoca, il governo inglese offrì una ricompensa per ogni cobra ucciso. Tuttavia, le persone iniziarono ad allevare cobra solo per ucciderli e riscuotere la ricompensa. Alla fine, il governo dovette ritirare gli incentivi, portando alla liberazione dei cobra allevati e peggiorando il problema.
Dark Patterns
La gamification può diventare estremamente pericolosa tramite l’uso dei cosiddetti “Dark Patterns” o tecniche di “black hat gamification”. Queste strategie sono utilizzate per influenzare subdolamente le persone a compiere azioni che normalmente eviterebbero, nonostante possano essere contro i loro interessi. Una su tutti il refresh continuo di un app.
Questa tecnica funziona così bene perché sfrutta diversi principi psicologici. Per prima cosa, è simile all’effetto di una slot machine con un feedback incrementale casuale. Quando il feed si aggiorna, c’è un breve ritardo che crea attesa.
Inoltre, provoca la paura di perdersi qualcosa (FOMO). Se hai perso un aggiornamento di un amico, o meglio della ragazza carina che stai monitorando, potresti perdere proprio il suo aggiornamento fondamentale in cui dichiara che la sua storia d’amore è finita ed è pronta per una nuova avventura: “The Social Network” poteva durare anche solo gli ultimi 3 minuti e tutti ne avrebbero capito il senso.
Infine, sfrutta la nostra naturale inerzia. Tendiamo a non agire a meno che non siamo stimolati. Quindi, quando ci viene chiesto di aggiornare, lo facciamo e continuiamo a scorrere fino a quando qualcosa non ci chiede di fermarci. Non credo che ci siano app che abbiano funzioni simili, di solito smetto di fare scrolling solo quando la mia mano è stremata.
A differenza degli incentivi ‘sbagliati’ , il comportamento anomalo provocato dai Dark Patterns è voluto e pianificato e se avete riconosciuto le classiche tecniche di molti social network, visto il contesto direi “Bingo!!”.
Ma noi seguiamo i soldi: se guardiamo al mercato, casi di app di successo che incorporano la gamification ce ne sono eccome, basti pensare a casi come Duolingo, Waze, Todoist, Mint e Fitbit.
La realta è che la gamification è diventata parte integrante della UX tanto che ormai separare l’una dall’altra sia quasi impossibile, la collocazione nel grafico di Gartner tra html5 e i Big Data assume un tono profetico e ci dà una chiave di lettura molto diversa: molte tecnologie non solo non spariscono, ma si trasformano diventando molto più pervasive.
Date le premesse, il quadro è chiaro: continueremo a percepire l’aumento della gamification in diversi settori. Man mano che le soluzioni diventano più sofisticate, vedremo aumentare anche il loro impatto. Le grandi imprese continueranno a innovare le pratiche di gamification esistenti e anche le aziende più piccole entreranno in gioco, con il supporto dei social media e l’accesso a più strumenti digitali.
Esempio di gamification su linkedin
Quindi aspettiamoci presto dei veri e propri tornei di dungeons & dragons dove troll, elfi e maghi saranno impegnati a superare la Kobayashi Maru delle certificazioni, guadagnandosi il rispetto incondizionato del popolo dei social, la ‘gamification’ è qui per rimanere…