
Sempre più spesso mi ritrovo a fare il poliziotto digitale.
A parte l’hobby di segnalare i numeri dei maledetti call center sempre più raffinati nel bypassare i filtri, attualmente mi appare il volto di un vendicativo ‘dirty Harry’ ogni volta che leggo articoli palesemente creati o tradotti male dall’ai.
Intendiamoci, non c’è niente di male a farsi tradurre le cose dall’AI, a meno che non siate uno studente di 11 anni che dovrebbe imparare l’inglese.
Il problema è che la maggior parte non rilegge assolutamente nemmeno la traduzione e manda on line delle castronerie.

Alla quarta riga in cui noto un cambio di genere, numero o ripetizioni nonsense, parte il trigger “make my day” ed elimino la fonte dal mio feed.
Nell’ultimo anno la proliferazione di framework javascript ha perso il primato in fatto di rumore digitale a favore di AI più o meno specializzate che riempiono le pagine dei siti di settore.
Adoro leggere gli articoli di alcuni quotidiani che mettono l’AI vicino alle notizie di finanza innescando corto circuiti mentali che portano la gente a comprare bitcoin, mi piace credere che siano raffinate tecniche di PNL piuttosto che redattori che mischiano mele con le pere.
Però volta che leggo titoli su come l’AI ha permesso a qualcuno di vincere alla lotteria il mio cervello si mette in stand by finché non riaffiora il ricordo felice del mio professore di statistica, tutto sudato mentre tirava monete dalla cattedra per farci capire come funzionano le probabilità.
Il fatto che con le monete di adesso sia più difficile distinguere testa da croce è chiaramente la dimostrazione che esiste un complotto per renderci più stupidi e manovrabili (un altro esempio sta nel fatto che non escono più lego general purpose, adesso potete montare solo kit di star wars per di più apocrifi.)
Ma rimaniamo concentrati sul fatto che ogni giorno ci sono notizie sempre più mirabolanti su quel nuovo LLM, quel nuovo GPT, sulle nuove frontiere del Machine Learning o quell’ inimmaginabile agente, il tutto correlato da grafici a spruzzo che hanno il solo effetto di dare un aspetto meno astratto alla nostra FOMO.
Ieri ChatGPT con Claude, oggi deep seek (per gli amici deep sick) in coppia con cursor e domani aspettiamoci altri nomi (poco) fantasiosi addestrati con una impronta al carbonio in grado da risanare numerosi buchi nell’ozono e capaci di girare sul browser del vicino, così de botto, senza un perché.
Quindi quanta roba esce ogni giorno sull’AI?
Se prendiamo come riferimento solo riviste scientifiche, che hanno una barriera all’entrata molto alta, abbiamo già uno stordimento: Una ricerca su PubMed con le parole chiave “Artificial Intelligence and Scientific Publishing” restituisce 5.470 articoli. Questo suggerisce una media di circa 450 articoli al mese.
Per i Media e Blog Tecnologici il numero di articoli varia significativamente ma nessuna ricerca su nessun AI mi da un numero, credo per pudore piuttosto che per ignoranza , però ChatGPT mi ha almeno dato le categorie principali e le percentuali:
- Ricerca Accademica (circa 40%): Pubblicazioni su algoritmi, modelli e nuove scoperte nel campo dell’IA.
- Applicazioni Industriali (circa 30%): Articoli sull’adozione dell’IA in settori come sanità, finanza, manifattura e servizi.
- Etica e Regolamentazione (circa 15%): Discussioni su implicazioni etiche, normative e sull’impatto sociale dell’IA.
- Educazione e Formazione (circa 10%): Contenuti focalizzati su corsi, workshop e materiali didattici sull’IA.
- Altro (circa 5%)
Se c’è una regola nel mondo della tecnologia, è questa: quando un termine diventa di moda, tutte le aziende iniziano a usarlo, indipendentemente dal fatto che descriva davvero ciò che fanno.
Negli ultimi anni, “AI-powered” è diventato il bollino magico per vendere qualsiasi software, anche quando l’intelligenza artificiale non c’entra niente.
Aziende e consulenti stanno pompando l’hype sull’ Intelligenza Artificiale generativa perché fa vendere.
Se avete intenzione di fare start up e non ci mettete qualcosa di relativo all’Ai potete avere l’elevator pitch più fico del mondo ma verrete defenestrati al primo piano.
Qualunque software che oggi incorpora un algoritmo viene etichettato come “AI-powered”, anche quando si tratta di funzioni di automazione preesistenti.
Rigirando una delle scene più iconiche di “wolf of wall street”, ripresa tra l’altro in spot che tentano di appiopparvi un auto, la famosa penna verrebbe venduta con un flavour di AI senza starci a pensare troppo.
E adesso che mi ritrovo copilot in excel mi chiedo cosa mai potrebbe andare storto.
Per me che giornalmente devo ancora manutenere un sacco di applicazioni monolitiche in Php è abbastanza frustrante scorrere Linkedin e vedere che tutti stanno scrivendo Chatbot AI con microservizi in Rust, istanziando Kubernetes su tre vendor a scelta, per richiamare una Lamba che scrive “Hello World”.
Per come la vedo il vibe coding promette un sacco di esaurimento nervoso a persone che sperimentano convinte di avere il tempo per farlo.
Il mantra attuale è che L’AI non potrà mai sostituire un programmatore, ma i programmatori che prospereranno sono quelli che sapranno usare l’AI.
Chiaro che i programmatori che iniziano adesso rischiano di usare solo quella il che è un vero peccato, chi ha iniziato a programmare ‘raw’ sa quanto il cervello si entusiasmi anche solo a gestire una matrice bidimensionale.
Rimane il fatto che programmare non significa scrivere codice ma piuttosto risolvere problemi
Sicuramente l’AI ci sta dando una grossa mano, uno scenario in cui l’intelligenza artificiale generativa non esiste sarebbe costellato di John Daniel Torrance che vagano con un’ascia in mano per i corridoi delle varie agenzie di creativi, con buona pace di chi tenta una resistenza intellettuale o chi si erge a paladino dell’etica dell’IA.
Però rincorrere le ultime novità, commentandole in base a parametri prestazionali mi sembra veramente una fatica inutile: per quanto mi riguarda ho comprato un enorme secchio di pop corn per gustarmi lo spettacolo dei guru dell’ai chiedere all’AI cosa c’è di nuovo sul fronte AI, un pò come quando, profondamente annoiati, cercavamo Google su Google…