
Andrea De Mauro è ingegnere di formazione, ha studiato al Politecnico di Torino e successivamente negli Stati Uniti, a Chicago, sempre in ingegneria informatica. Per gran parte della sua carriera ha lavorato per Procter and Gamble, un’azienda che produce beni di largo consumo, conosciuta principalmente per i brand che commercializza. Ha trascorso 15 anni in P&G, un’esperienza che definisce bellissima. Ha contribuito alla creazione dei primi team di data analytics in Italia e nel Sud Europa, e ha poi ampliato la sua esperienza ad altri settori, coordinando le attività di value creation per diversi mercati.
Successivamente, ha conseguito il dottorato di ricerca a Tor Vergata, a Roma, che gli ha offerto l’opportunità di approfondire le sue conoscenze e soddisfare alcune curiosità scientifiche. Dopo l’esperienza in P&G, ha lavorato nelle telecomunicazioni in Vodafone Italia come Head of Data Analytics, un’esperienza che ricorda come fantastica per la ricchezza dei dati e la velocità del business.
Da circa un anno ha deciso di mettersi in proprio come consulente. Da settembre dello scorso anno ha iniziato a insegnare alla Luiss continuando a collaborare con aziende di industrie diverse e anche con alcune startup, in una delle quali è co-founder.
Chiaramente assieme ad Andrea Maietta e lo special guest Gabriele Nocco, avremmo voluto tenerlo sotto torchio per tutta la serata del Devs Book Club, ma abbiamo provato comunque a rubargli più segreti possibili in 45 minuti. Nel suo libro, il terzo per Apogeo, si confronta con strumenti e metodologie in grado di portare l’analisi dei dati anche a chi parte da zero, dove zero è zero…
Domanda: È stata una decisione istintiva quella di passare dal mondo corporate all’imprenditoria, oppure è stata una scelta basata sui dati? E se sì, su quali dati hai lavorato? Penso che questa possa essere una questione interessante, perché a volte uno lo fa senza pensarci su molto
Risposta: È difficilissima questa domanda. No? Perché allora io sono convinto di no, me ne sto rendendo conto. Per le cose importanti è la vita che decide per te.
Noi ci possiamo fare tutti i nostri piani, io vengo da un primo passato in it da project management, possiamo pianificare tutto, ma poi alla fine alla fine è la vita che decide per noi. La carriera corporate è stata ottima per me per creare una base. L’importante è capire anche le cose di cui siamo appassionati, nel mio caso i dati. L’analisi dei dati, l’intelligenza artificiale, come si calano nel contesto di una società complessa che è la dimensione corporate?
Perché poi la verità è, che tu puoi creare modelli più belli, creare le dashboard più attraenti, ma poi quello che fa la differenza è come questo, va ad intersecarsi con tutto quel mix di potere e di ambiguità che si trovano nelle grandi aziende. Quindi per me la grande azienda è stata un ottimo punto da cui partire. I tempi poi sono diventati anche maturi, insieme alla curiosità di vedere altre industrie, anche di dimensioni diverse. I tempi sono diventati maturi nel momento in cui. l’AI generative stanno esplodendo. Tante aziende hanno bisogno di chiarirsi le idee, di chiarirsi le idee in tempi molto stretti su cosa fare davvero andando oltre l’hype del chatbot aziendale. Quindi la scelta è stata dettata dal fatto che i tempi sono diventati maturi, ora se se mi chiedi se c’era un file Excel dietro la scelta, devo darti una delusione. Ci sono stati diversi file Excel, ma non in questo caso.
Io non demonizzo Excel. Poi è ovvio che quando parliamo di data Analytics, Excel è un po visto male, diciamo che è spesso il il punto di partenza, non il punto di arrivo. Proprio quando devi prendere decisioni allora devi magari incastonare pesi. Poi non lo non lo demonizzo più. Ripeto ci scherzo anche nei libri no? Ma siete rimasti su Excel per fare però poi in realtà Excel non c’è niente di male su Excel anche per queste cose qua.
D: Torniamo alla tua carriera, ti sei laureato intorno al 2000, prendendo subito il percorso giusto.
R: Il mio percorso di laurea, quel percorso di laurea non esiste più, il Politecnico ha deciso di cancellarlo. Ingegneria dell’informazione mi sa che non esiste più. Era un percorso multidisciplinare che includeva l’informatica, l’elettronica e le telecomunicazioni e la statistica . Faceva parte di quella base matematica per cui poi tutti gli ingegneri del Politecnico andavano a creare, però già allora mi divertivo molto, ad esempio mi sono occupato di di fare la guida in italiano di questo software statistico che non esiste più, si chiamava Caleida Graf ,però è stata una bellissima esperienza perché io ho capito quanto poi è importante un approccio semplice. Quando si scrivono dei libri o delle guide per chi non deve essere un informatico, cioè non è un informatico, ma deve usare un software, evidentemente un prodotto dell’informatica. E quindi parlare semplice anche di temi che però possono essere molto intricati, come l’analisi descrittiva statistica, quella tradizionale, cioè quella che è il punto base della data analytics, l’analitica descrittiva. Già lì si insidiano delle complessità nei concetti statistici che permettono di spiegare il dato. Che non sono da poco. Quindi bisogna parlare semplice e spiegare le cose con semplicità. E quello che cerco di fare nel libro. Poi mi direte voi, visto che secondo la terza regola lo avete letto tutti? No? Quindi ovviamente poi mi saprete dire.
D: Qual è stato il dominio più interessante che hai visto fino adesso? Per quanto riguarda i dati?
R: Allora, questa è una domanda difficile, ma vi dirò cosa mi è piaciuto di più in assoluto riguardo al lavoro nell’industria dei beni di largo consumo. La cosa che mi ha affascinato maggiormente è parlare con i clienti, uscire sul campo e vedere l’output di un’analisi o di un algoritmo che predice le rotture di stock. Cosa significa rottura di stock? Significa che vai a cercare il tuo marchio preferito o il modello di pannolini di cui hai bisogno e non lo trovi: questa è una rottura di stock. Crei un algoritmo per prevedere queste situazioni, ma la parte più affascinante è quando vai sul campo, magari con un venditore esperto che conosce bene l’ambiente, e scopri se l’algoritmo ha funzionato o meno. E capisci perché, ad esempio, il cartellino del prezzo potrebbe essere caduto, rendendo difficile ordinare di nuovo il prodotto.
La parte più affascinante è il passaggio dalla teoria e dai numeri alla pratica e alle persone. Nel mondo dei beni di consumo veloce, tutto è fatto di persone, e l’interpretazione delle analisi può essere convalidata attraverso Focus Group, parlando direttamente con i consumatori. Questa è la parte che ho trovato più affascinante.
Invece, nelle telecomunicazioni, la parte affascinante e anche complessa è gestire enormi quantità di dati. Parlare di big data oggi è quasi superfluo, ma la quantità di dati e l’agilità necessaria per gestirli sono enormi. Le telecomunicazioni sono il parco giochi del Data Scientist, perché puoi fare tutto. Tuttavia, devi sapere da dove partire e come prendere le decisioni, con strutture di decision making e prioritizzazioni di portfolio ben definite. Altrimenti, rischi di perderti nei dati di un’azienda di telecomunicazioni. La data governance è fondamentale, anche se spesso considerata noiosa, ma in realtà è il cuore del lavoro di chi gestisce un’organizzazione di analytics.
D: Il libro inizia molto bene quando descrivi tutto il lavoro di Katia del CDO. Il primo capitolo è un pò un elenco di tutti i successi di questa CDO. Tu che hai visto realtà sia italiane che internazionali, quanto siamo distanti in Italia da una cultura del dato che permetta il lavoro di Katia fino in fondo, che permetta di andare a parlare con con i vari stakeholder e diciamo che faccia sì che loro abbraccino apertamente un approccio statistico, un approccio data driven?
R: Questa è una bellissima domanda. Dal punto di vista strettamente data-driven, l’Italia non è indietro rispetto agli altri mercati con cui ho lavorato. Tuttavia, quando parliamo di cultura del dato, ci sono aspetti culturali italiani che influiscono sul modo in cui il dato viene utilizzato.
Un punto su cui lavoro molto e che consiglio sempre ai miei clienti è quello di dare all’analista dei dati un posto nella stanza dei bottoni, ovvero di includerlo nelle riunioni in cui vengono prese le decisioni. Questo perché è facile per un manager ricevere un report, ma ricevere una raccomandazione e avere un analista che spiega cosa fare basandosi sui dati richiede una mentalità aperta.
In Italia, c’è una tendenza ad essere più gerarchici e a far accedere meno le persone più giovani ai processi decisionali. Questo è un peccato, perché limita il potenziale dei dati. In un libro che deve ancora essere pubblicato, parlo del concetto di HIPPO (Highest Paid Person’s Opinion), ovvero l’opinione della persona più pagata nella stanza. Se in un’azienda l’ultima parola spetta sempre alla persona più alta in grado, le decisioni non vengono prese utilizzando l’informazione che deriva dai dati. Questo è un problema culturale e organizzativo che molte aziende stanno cercando di superare.
Infatti, i Chief Data Officer dicono sempre che il loro lavoro è un lavoro di persone, non di numeri. Ed è proprio vero.
D: È stata una decisione istintiva quella di passare dal mondo corporate all’imprenditoria, oppure è stata una scelta basata sui dati? E se sì, su quali dati hai lavorato? Penso che questa possa essere una questione interessante, perché a volte uno lo fa senza pensarci su molto
R: È difficilissima questa domanda. No? Perché allora io sono convinto di no, me ne sto rendendo conto. Per le cose importanti è la vita che decide per te.
Noi ci possiamo fare tutti i nostri piani, io vengo da un primo passato in it da project management, possiamo pianificare tutto, ma poi alla fine alla fine è la vita che decide per noi. La carriera corporate è stata ottima per me per creare una base. L’importante è capire anche le cose di cui siamo appassionati, nel mio caso i dati. L’analisi dei dati, l’intelligenza artificiale, come si calano nel contesto di una società complessa che è la dimensione corporate?
Perché poi la verità è, che tu puoi creare modelli più belli, creare le dashboard più attraenti, ma poi quello che fa la differenza è come questo, va ad intersecarsi con tutto quel mix di potere e di ambiguità che si trovano nelle grandi aziende. Quindi per me la grande azienda è stata un ottimo punto da cui partire. I tempi poi sono diventati anche maturi, insieme alla curiosità di vedere altre industrie, anche di dimensioni diverse. I tempi sono diventati maturi nel momento in cui. l’AI generative stanno esplodendo. Tante aziende hanno bisogno di chiarirsi le idee, di chiarirsi le idee in tempi molto stretti su cosa fare davvero andando oltre l’hype del chatbot aziendale. Quindi la scelta è stata dettata dal fatto che i tempi sono diventati maturi, ora se se mi chiedi se c’era un file Excel dietro la scelta, devo darti una delusione. Ci sono stati diversi file Excel, ma non in questo caso.
Io non demonizzo Excel. Poi è ovvio che quando parliamo di data Analytics, Excel è un po visto male, diciamo che è spesso il il punto di partenza, non il punto di arrivo. Proprio quando devi prendere decisioni allora devi magari incastonare pesi. Poi non lo non lo demonizzo più. Ripeto ci scherzo anche nei libri no? Ma siete rimasti su Excel per fare però poi in realtà Excel non c’è niente di male su Excel anche per queste cose qua.
D: Torniamo alla tua carriera, ti sei laureato intorno al 2000, prendendo subito il percorso giusto?
R: Il mio percorso di laurea, quel percorso di laurea non esiste più, il Politecnico ha deciso di cancellarlo. Ingegneria dell’informazione mi sa che non esiste più. Era un percorso multidisciplinare che includeva l’informatica, l’elettronica e le telecomunicazioni e la statistica . Faceva parte di quella base matematica per cui poi tutti gli ingegneri del Politecnico andavano a creare, però già allora mi divertivo molto, ad esempio mi sono occupato di di fare la guida in italiano di questo software statistico che non esiste più, si chiamava Caleida Graf ,però è stata una bellissima esperienza perché io ho capito quanto poi è importante un approccio semplice.
Quando si scrivono dei libri o delle guide per chi non deve essere un informatico, cioè non è un informatico, ma deve usare un software, evidentemente un prodotto dell’informatica. E quindi parlare semplice anche di temi che però possono essere molto intricati, come l’analisi descrittiva statistica, quella tradizionale, cioè quella che è il punto base della data analytics, l’analitica descrittiva. Già lì si insidiano delle complessità nei concetti statistici che permettono di spiegare il dato. Che non sono da poco. Quindi bisogna parlare semplice e spiegare le cose con semplicità. E quello che cerco di fare nel libro. Poi mi direte voi, visto che secondo la terza regola lo avete letto tutti? No? Quindi ovviamente poi mi saprete dire.
D: Qual è stato il dominio più interessante che hai visto fino adesso? Per quanto riguarda i dati?
R: Allora, questa è una domanda difficile, ma vi dirò cosa mi è piaciuto di più in assoluto riguardo al lavoro nell’industria dei beni di largo consumo. La cosa che mi ha affascinato maggiormente è parlare con i clienti, uscire sul campo e vedere l’output di un’analisi o di un algoritmo che predice le rotture di stock. Cosa significa rottura di stock? Significa che vai a cercare il tuo marchio preferito o il modello di pannolini di cui hai bisogno e non lo trovi: questa è una rottura di stock. Crei un algoritmo per prevedere queste situazioni, ma la parte più affascinante è quando vai sul campo, magari con un venditore esperto che conosce bene l’ambiente, e scopri se l’algoritmo ha funzionato o meno. E capisci perché, ad esempio, il cartellino del prezzo potrebbe essere caduto, rendendo difficile ordinare di nuovo il prodotto.
La parte più affascinante è il passaggio dalla teoria e dai numeri alla pratica e alle persone. Nel mondo dei beni di consumo veloce, tutto è fatto di persone, e l’interpretazione delle analisi può essere convalidata attraverso Focus Group, parlando direttamente con i consumatori. Questa è la parte che ho trovato più affascinante.
Invece, nelle telecomunicazioni, la parte affascinante e anche complessa è gestire enormi quantità di dati. Parlare di big data oggi è quasi superfluo, ma la quantità di dati e l’agilità necessaria per gestirli sono enormi. Le telecomunicazioni sono il parco giochi del Data Scientist, perché puoi fare tutto. Tuttavia, devi sapere da dove partire e come prendere le decisioni, con strutture di decision making e prioritizzazioni di portfolio ben definite. Altrimenti, rischi di perderti nei dati di un’azienda di telecomunicazioni. La data governance è fondamentale, anche se spesso considerata noiosa, ma in realtà è il cuore del lavoro di chi gestisce un’organizzazione di analytics.
D: Il libro inizia molto bene quando descrivi tutto il lavoro di Katia del CDO. Il primo capitolo è un pò un elenco di tutti i successi di questa CDO. Tu che hai visto realtà sia italiane che internazionali, quanto siamo distanti in Italia da una cultura del dato che permetta il lavoro di Katia fino in fondo, che permetta di andare a parlare con con i vari stakeholder e diciamo che faccia sì che loro abbraccino apertamente un approccio statistico, un approccio data driven?
R: Questa è una bellissima domanda. Dal punto di vista strettamente data-driven, l’Italia non è indietro rispetto agli altri mercati con cui ho lavorato. Tuttavia, quando parliamo di cultura del dato, ci sono aspetti culturali italiani che influiscono sul modo in cui il dato viene utilizzato.
Un punto su cui lavoro molto e che consiglio sempre ai miei clienti è quello di dare all’analista dei dati un posto nella stanza dei bottoni, ovvero di includerlo nelle riunioni in cui vengono prese le decisioni. Questo perché è facile per un manager ricevere un report, ma ricevere una raccomandazione e avere un analista che spiega cosa fare basandosi sui dati richiede una mentalità aperta.
In Italia, c’è una tendenza ad essere più gerarchici e a far accedere meno le persone più giovani ai processi decisionali. Questo è un peccato, perché limita il potenziale dei dati. In un libro che deve ancora essere pubblicato, parlo del concetto di HIPPO (Highest Paid Person’s Opinion), ovvero l’opinione della persona più pagata nella stanza. Se in un’azienda l’ultima parola spetta sempre alla persona più alta in grado, le decisioni non vengono prese utilizzando l’informazione che deriva dai dati. Questo è un problema culturale e organizzativo che molte aziende stanno cercando di superare.
Infatti, i Chief Data Officer dicono sempre che il loro lavoro è un lavoro di persone, non di numeri. Ed è proprio vero…
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