Da più di quindici anni, parallelamente alla mia carriera da sviluppatore, alleno una squadra di bambini a calcio. L’attività ha luogo nel piccolo paese dell’hinterland milanese dove sono cresciuto. In realtà nella stessa società sportiva dove ho giocato per anni da piccolo.
Alleno bambini piuttosto piccoli. Negli anni ho avuto squadre di cinque-sei anni, sette-otto. Ma da un po’ mi sono specializzato nella categoria pulcini, quello dei ragazzi di quarta e quinta elementare.
Proprio perché sono così piccoli, si allenano molto più presto degli adulti. Questo, soprattutto in tempi prepandemici in cui non esisteva la locuzione “smart working” mi ha causato non poche liti con i miei manager. Come mai? Perché ho dovuto spiegare che due giorni alla settimana dovevo uscire presto dall’ufficio, o lavorare da casa, perché avevo allenamento. Altrettante sono poi state le liti in casa, legate al fatto che non ho mai un sabato pomeriggio libero, da settembre a maggio compresi.
Eppure, è una delle esperienze più formative che abbia mai fatto per il mio lavoro di tutti i giorni come sviluppatore.
Mi chiederete: stare fermo per ore, gratis, con qualunque condizione atmosferica, a gridare dietro a bambini che sanno a malapena allacciarsi le scarpe e che, con ogni probabilità, non diventeranno mai dei calciatori professionisti, che attinenza ha con lo sviluppo dei software, con la scrittura di codice, con il design delle architetture, con i linguaggi di programmazione, il testing, il debugging e tutto quello che faccio quotidianamente per lavoro?
Ne ha tantissima. Perché la maggior parte dei problemi che risolvo quotidianamente non hanno a che fare con il codice, ma con le persone, con i rapporti tra di loro e con i team.
Sviluppare software è un lavoro che nessuno, nonostante quello che vuole farvi credere il film “The Social Network”, può fare in isolamento. Per questo imparare a interagire con le altre persone coinvolte e a comunicare in maniera efficace con loro è forse la singola skill più importante, e più spendibile, che uno sviluppatore può avere. Io, tre pomeriggi a settimana, ho la fortuna enorme di poter osservare da un punto di vista privilegiato dinamiche interne a un team. E quelle stesse dinamiche sono risultate assolutamente uguali a quelle che ho visto ripetersi nei team di sviluppatori di cui ho fatto parte.
Lettura consigliata: Soft skills: le migliori alleate per il tuo successo
C’è il bambino bravo a giocare in difesa a cui chiedi di giocare in attacco. Ma va nel panico. Perciò devi spiegargli che è uscendo dalla propria comfort zone che si cresce e si diventa più bravi.
Poi c’è quello forte che pensa di risolvere tutte le partite da solo, senza mai passare la palla agli altri. A lui devi insegnare a fidarsi dei compagni. E devi far capire che la scelta migliore per la squadra è quasi sempre la scelta migliore anche per lui.
C’è il bambino a cui di giocare a calcio non frega niente. Lui viene agli allenamenti solo per stare con gli amici. Ma sta a te allenatore trovare la chiave per entrare in contatto con lui e permettergli di contribuire meglio che può al successo della squadra.
C’è il bambino che di solito è partecipe e attento ma ha avuto una brutta giornata a scuola e ha voglia di litigare. In questo caso devi metterlo in condizione di non impedire agli altri di allenarsi. Il bambino che forse un giorno diventerà un allenatore. Cosa che tra l’altro mi è capitata davvero, ed è una delle gratificazioni più grandi. In questo caso lui capisce perché dici quello che dici e propone nuove varianti per gli esercizi che fate.
Ci sono gli allenamenti da preparare due volte a settimana. Devi inventarti modi sempre nuovi per aggiustare gli errori e rinforzare i comportamenti positivi che hai visto nella partita del sabato (e di cui parlerai con loro, all’allenamento del lunedì, durante una breve retrospettiva). Ma dovendo sempre mantenere sempre alta l’attenzione, la partecipazione e la motivazione. Il tutto ricordando che, in definitiva, il calcio per me e per loro è uno strumento tramite il quale trasmettere anche concetti come la collaborazione, il valore dell’impegno, la solidità mentale, la rapidità di pensiero.
Tutte queste cose, e mille altre, le ho viste succedere in campo. E poi, praticamente identiche, in ufficio, o nei meeting e nelle mail ora che un ufficio non ce l’ho più. Ho saputo riconoscerle perché le avevo viste messe in pratica da persone che per natura sono estremamente dirette e trasparenti. I ragazzi di nove anni non hanno ancora le sovrastrutture e le sottigliezze comunicative degli adulti. Per cui se hanno qualcosa da dirti te lo dicono esattamente come lo pensano.
E mi chiedete ancora cosa c’entri allenare con il lavoro dello sviluppatore di software?
Se avete ancora dubbi sull’utilità del calcio nella vita dello sviluppatore, fugate ogni dubbio ascoltando l’intervista di Mattia Tommasone per Codemotion: DevX Interview con Mattia Tommasone: tutto su Kotlin, Java, lavoro da remoto e calcetto!